Nel disegno di legge riguardante il lavoro approvato nell’ultimo Consiglio dei ministri, quello del 28 gennaio, vengono indicate le “Disposizioni in materia di lavoro agile”, un tipo lavoro subordinato che può essere eseguito in parte all’interno dell’azienda e in parte all’sterno nei limiti dell’orario stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Ed è proprio “lavoro agile” il termine che ha avuto la meglio su “smart working”, termine di origine inglese molto utilizzato negli ultimi tempi dalla stampa per parlare di questo tema, affrontato dal giuslavorista Maurizio Del Conte .
“Noi riteniamo che l’italiano lavoro agile sia un perfetto equivalente – fa sapere il gruppo Incipit in un comunicato stampa – con il vantaggio della maggiore trasparenza. Con grande piacere dobbiamo notare che non siamo isolati in questa opinione: dopo l’incertezza iniziale -continuano – smart working sta perdendo terreno e lascia il posto al trasparente ed espressivo lavoro agile”. Incipit è il gruppo dell’Accademia della Crusca che si occupa di esaminare e valutare neologismi e forestierismi ‘incipienti’ nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana, di cui fanno parte Michele Cortelazzo, Valeria della Valle, Jean Luc Egger, Claudio Giovanardi, Claudio Marazzini, Alessio Petralli, Luca Serianni, Annamaria Testa e Paolo D’Achille, nato dopo la petizione lanciata con lo slogan #Dilloinitaliano che raccolse 70.000 firme e il convegno fiorentino nel febbraio dello scorso anno dedicato a “La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi”.
Prima di “smart working” altri anglismi sono stati messi sotto esame come “Hot Spots”, usato dall’inglese burocratico dell’Unione Europea per indicare i Centri di identificazione dei migranti e definito per questa nuova accezione “offensivo, elusivo rispetto alla realtà, dunque politicamente scorretto”, l’altro anglismo è stato “voluntary disclosure”, termine che indica l’operazione in cui si dichiarano al fisco capitali indebitamente detenuti all’estero e che secondo Incipit “dovrebbe essere risolutamente abbandonato a vantaggio di collaborazione volontaria”. Ma se l’agenzia delle entrate già dal 2014 utilizza questa espressione più difficile se non impossibile cambiare, in questo caso, le abitudini lessicali dei giornalisti.