Cinque gallerie e un artista, un progetto quasi impossibile da realizzare ma che ha preso corpo nel nome di Giuseppe Chiari. A dieci anni dalla scomparsa i galleristi che lo hanno conosciuto e ne hanno apprezzato il lavoro sotto la curatela scientifica di Bruno Corà hanno dato vita a “Pentachiari” un grande omaggio itinerante all’unico esponente italiano del movimento Fluxus che viene ricordato con cinque mostre nelle Gallerie di arte contemporanea più prestigiose d’Italia e che hanno sede a Firenze e a Prato, Galleria Santo Ficara, Armada Gori Arte, Galleria Il Ponte, Tornabuoni Arte, Frittelli Arte Contemporanea. Sabato scorso l’apertura ufficiale della rassegna, in orari diversi ad iniziare dal mattino, un brindisi in ricordo di un grande artista ma soprattutto di un amico, ironico e dissacrante, come solo lui sapeva esserlo, per arrivare al momento finale alla Galleria Frittelli quando è stata suonata una sua composizione.
Una grande antologica diffusa, Bruno Corà dopo aver esaminato le opere scelte dai galleristi ha indicato per ognuno una linea di ricerca diversa dagli altri, da Santo Ficara in Via Ghibellina le tecniche miste, i collage, gli strumenti della musica, chitarra, pianoforte, violino, a Prato da Armanda Gori e Aldo Marchi che presto passeranno il testimone al figlio Lorenzo nella conduzione della galleria in Viale della Repubblica alle opere musicali, tecniche miste, pianoforte e strumenti e vinili che raccontano dell’intenso sodalizio vissuto con il Maestro si affiancano opere storiche a cui sono state dedicate intere pareti, statements, le foto di “Gesti sul piano” e anche qualche raro pezzo dedicato agli studi matematici.
“Appare evidente che la figura di Chiari non è stata ‘voce nel deserto’ – scrive Bruno Corà nel testo di presentazione – in attesa del catalogo che vedrà la luce a giorni – ma che, al contrario, ha trovato nell’ambiente artistico della città, suo contemporaneo, i più diretti sostenitori e attenti interlocutori in ogni fase del suo non facile percorso. E, proprio in questo anno, numerosi tra i suoi estimatori e amici, esenti fa forme di esaltazione o di inutile trionfalismo nel vedere rimessa al centro dell’attenzione la sua opera e la sua vicenda esistenziale , sono convinti che molto lavoro vi sia ancora da svolgere perché il nucleo essenziale del pensiero e dell’arte di Chiari sia compreso appieno ed esteso. Vi è la coscienza non solo di questa necessità improcrastinabile, ma anche del bisogno che, allo stato attuale, se non si produce un’ulteriore e più decisiva azione relativa alla sua opera e a quella dell’intero contesto relativo alle arti dell’architettura, della scrittura poetica, del teatro e del video, della danza e delle arti visive, si corre il rischio di far scendere la polvere su quel giacimento di vitalità idealmente ancora ribollente, poiché realmente fondata, di forme e concezioni emerse negli anni Sessanta-Settanta, certamente tra le più esplosive della seconda metà del XX secolo in Italia e in Europa.”
La figura dell’artista fiorentino torna nel ricordo vivido della quotidianità nel racconto fatto di galleristi intervistati che hanno lavorato con lui. “Giuseppe Chiari lo conosco da sempre – dice Santo Ficara – almeno dagli anni Sessanta, perché abitava in via Chiarugi non lontano da casa mia: ci divideva soltanto la ferrovia in Piazza Alberti. Lo incontravo sempre, spesso lo trovavo a una copisteria di piazza San Salvi”.
“ Ci siamo incontrati per la prima volta alla Galleria Numero di Fiamma Vigo – dice Carlo Frittelli – erano i tempi in cui dipingevo anch’io e in seguito alla Galleria il Moro, spazio autogestito che entrambi frequentavamo. C’era tra noi una stima reciproca..”.
“ Fu proprio lui che, nel 1998, mi spinse ad aprire una galleria e che nel 2006, quando ci siamo trasferiti nella sede in viale della Repubblica, ha realizzato l’insegna per il nuovo spazio. – dice Armanda Gori che con la sua famiglia è stata a stretto contatto con l’artista, in particolare negli ultimi tempi-…Grazie a questa continua frequentazione è nata l’idea di un lavoro in progress che ha fatto nella camera del nostro figlio Lorenzo e che definisco come il “Testamento artistico”. Ha ricoperto interamente le pareti della stanza con un unico collage”.
“La nostra collaborazione risale ai primi anni Duemila – dice Andrea Alibrandi – quando ho cambiato il taglio del mio lavoro in galleria…In quegli anni mi è tornato il desiderio di lavorare con Chiari e questa volta la sua risposta è stata entusiasta. E’ così che nel 2006 abbiamo organizzato una sua mostra personale in galleria…”.
“Giuseppe è stato innanzi tutto un grande amico – esordisce Roberto Casamonti di Tornabuoni Arte – con cui ho lavorato per molti anni e che ammiro profondamente, sia come uomo che come artista… Dopo la sua scomparsa, mi sono sentito in dovere di realizzare un voluminoso catalogo nel quale ho pubblicato tutte le sue opere da me accumulate nel tempo. E, all’ultima pagine del libro, come se prevedesse la sua fine, ho voluto pubblicare una frase di grande significato morale che ha scritto su una sua opera: “ E’ stato bello, grazie”.”