Già nel 1969 Carlo Ludovico Ragghianti – il noto studioso di storia dell’arte cui è intitolata, insieme alla moglie Licia Collobi, la Fondazione Centro Studi ospitata nel maestoso Complesso monumentale di San Micheletto a Lucca – segnalava la necessità di approfondire il legame fra il disegno infantile, l’arte medievale e la produzione figurativa dei primi tre decenni del Novecento, un argomento del quale era stato pionieristico indagatore nel suo Bologna cruciale 1914, testo fondamentale per le future ricerche sull’arte italiana del Novecento. Dopo aver evidenziato l’importanza per lo studio del disegno infantile del celebre saggio di Corrado Ricci L’arte dei bambini (Bologna, 1887), il critico enumerava gli episodi salienti di questa inedita attenzione per l’arte dei fanciulli: la scuola sul disegno spontaneo dei bambini di Jasnaja Poljana di Tolstoj, fondata nel 1861, il volume Educazione estetica (1909) di Giovanni Ferretti, la mostra di pittura infantile aperta al Salon giovanile parigino del 1908, i contributi italiani all’Esposizione Internazionale di didattica del disegno (Dresda, 1912) e al padiglione Das Kind und die Schule (Lipsia, 1914).
Concludendo la propria serrata rassegna e indicando gli episodi fondamentali della ricezione di stilemi infantili nell’arte italiana dei primi tre decenni del Novecento, Ragghianti denunciava l’incompletezza della propria indagine, esprimendo l’esigenza di ulteriori approfondimenti: è una lacuna che la Fondazione Ragghianti, diretta da Paolo Bolpagni, intende contribuire a colmare con la mostra L’artista bambino. Infanzia e primitivismi nell’arte italiana del primo Novecento, in programma dal 17 marzo al 2 giugno e curata da Nadia Marchioni, che affronta il tema indagandone anche gli antefatti, ed è realizzata grazie al costante supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e con il patrocinio della Regione Toscana, della Provincia di Lucca e del Comune di Lucca.
Gli esempi di “regressione” verso il disegno infantile da parte di artisti italiani fra il secondo e terzo decennio del Novecento documentati da Ragghianti nel suo saggio raccontavano, fra le altre, le esperienze di Alberto Magri, Ottone Rosai, Tullio Garbari, Gigiotti Zanini, Carlo Carrà, Riccardo Francalancia e Alberto Salietti.
Le prime attestazioni di attenzione, da parte degli artisti, nei confronti dell’infanzia e delle sue espressioni grafiche trovano un importante antefatto nell’opera di Adriano Cecioni, così come nel Ritratto di Yorick di Vittorio Matteo Corcos, legato a una locandina per la conferenza fiorentina di Corrado Ricci su L’arte dei bambini del 1885, e nell’inconsueto dipinto Il fallimento di Giacomo Balla.
La mostra indaga inoltre gli espliciti arcaismi tratti dallo studio dei maestri del Duecento e del Trecento, che vede fra i precursori Alberto Magri, accompagnato dagli amici “apuani” Lorenzo Viani e Adolfo Balduini.
Questa cerchia di artisti toscani giunge alla stilizzazione di derivazione infantile e medievale con notevole anticipo rispetto alle attestazioni critiche di Ardengo Soffici – grande estimatore di Henri Rousseau su “La Voce” nel 1910 – e di Carlo Carrà (Vita moderna e arte popolare, Parlata su Giotto, Paolo Uccello costruttore), i quali, fra il 1914 e il 1916, auspicavano nei loro articoli la volontà di tornare a “forme pure nello spazio”, consigliando agli artisti che desideravano recuperare, dopo l’esplosiva avanguardia futurista, una saldezza formale, di ispirarsi a stilemi tratti dall’arte popolare, infantile e medievale.
Proprio da questo nucleo di artisti toscani – afferma la curatrice Marchioni – la mostra parte per ricostruire la storia della regressione al linguaggio dell’infanzia nell’arte, che si avvia con Magri e Viani poco dopo la metà del primo decennio del Novecento e si diffonde fra una selezionata cerchia di artisti che ebbero modo di confrontarsi più o meno direttamente con queste espressioni formali, grazie anche al contributo di contemporanee affermazioni critiche pronte ad avallare la validità di questa scelta controcorrente: fatale appare la coincidenza fra la data dell’inaugurazione della mostra di Magri al Lyceum di Firenze (2 giugno 1914) e quella della pubblicazione su “Lacerba” del saggio di Carrà Vita moderna e arte popolare (1 giugno 1914), in cui l’autore si scaglia contro la “falsissima idea di potersi creare artificialmente una verginità e una sensibilità moderna andando nel lontano centro d’Africa”, inneggiando alle opere eseguite “per semplice diletto da bambini, operai, donne”, come l’unico modo per “osservare e assimilare le leggi plastiche manifestate nella loro primordiale purezza”.
La mostra si articola in sei sezioni a partire dall’interesse di fine Ottocento verso il fenomeno dell’arte infantile.
Sezione I
Adriano Cecioni e il mondo dell’infanzia
I dipinti e le sculture di Adriano Cecioni, con la loro partecipe attenzione per il mondo dell’infanzia, aprono la sezione che ruota attorno a celebri opere come Primi passi, Ragazzi che lavorano l’alabastro e Ragazzi mascherati da grandi, irripetibile testimonianza, quest’ultima, dell’energia e dell’istintualità infantile, tradotte in uno stile precocemente semplificato.
Sezione II
Corrado Ricci e le prime incursioni del disegno infantile nell’arte fra Otto e Novecento
Il volume di Corrado Ricci e la locandina della sua conferenza fiorentina, i cui stilemi infantili sono ripresi nel Ritratto di Yorick di Vittorio Matteo Corcos del Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno, costituiscono, con altri dipinti e documenti, il nucleo originario della mostra. In essi, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, si manifesta nell’arte l’interesse verso il disegno infantile, culminante nell’incredibile dipinto Il fallimento di Giacomo Balla del 1902 (di cui sono esposti il bozzetto esecutivo e il disegno preparatorio, prestato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma). L’attenzione per il disegno infantile negli ultimi anni dell’Ottocento e la sua diffusione presso gli artisti è documentata dall’intervento di Paola Lombroso Il senso drammatico nel disegno dei bambini, riccamente illustrato e pubblicato sulla celebre rivista “Emporium” (1897).
Sezione III
Disegno infantile e Medioevo: alle sorgenti della figurazione
Il caso pioneristico di Alberto Magri e del cenacolo tosco-apuano
Questa sezione illustra il pionieristico caso di accoglienza di stilemi infantili e medievali nell’opera di Alberto Magri, che già nel 1908, con Il ferimento di una bambina, mostra di aver intrapreso con solitaria determinazione lo studio dell’infanzia dell’uomo e dell’arte.
Di Magri sono presenti, oltre ai dipinti di minore formato, gli importanti cicli pittorici dei primi anni Dieci, assieme alle opere degli artisti a lui legati, fra cui Adolfo Balduini, Spartaco Carlini e Lorenzo Viani. La sezione prevede inoltre un approfondimento legato all’illustrazione per l’infanzia e in particolare l’esposizione del “Giornalino di Gianburrasca” e del “Corriere dei Piccoli”.
Sezione IV
L’immagine del bambino e la diffusione del primitivismo infantile in Italia negli anni della Grande Guerra
Durante la Grande Guerra l’immagine del bambino fu fra le più sfruttate dalla propaganda su ogni sorta di materiale a stampa, dai quotidiani, alle cartoline, ai giornali di trincea; per una sorta di osmosi culturale, la pittura risentì di questa pacifica invasione, e nelle opere di alcuni artisti restò traccia di quelle fanciullesche figurazioni, come è evidente in rari lavori di Ottone Rosai, Alberto Magri, Tullio Garbari, Gigiotti Zanini, Alberto Salietti e Piero Bernardini. In questa sezione, ai dipinti degli artisti sopra citati sono affiancati materiali a stampa e disegni originali eseguiti da maestri dell’illustrazione e da artisti prestati alla propaganda bellica, fra cui, per esempio, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Mario Sironi e Ardengo Soffici.
Sezione V
Soffici e Carrà fra arte infantile e popolare
Agli scritti di Carrà e Soffici su un’arte sorgiva e infantile pubblicati fra il 1910 e il 1916 su “La Voce” e su “Lacerba” fanno eco i dipinti dei due artisti, più legati a una prospettiva popolare nel caso di Ardengo Soffici, che inizia a produrre i suoi “trofeini” ispirati ai pittori delle insegne degli empori di paese, e stimolati, invece, da un’arte infantile mutuata dall’esempio del Doganiere Rousseau in Carlo Carrà (che conservava nella propria collezione un disegno di Rousseau, esposto in mostra) e, in rare occasioni, da Giorgio Morandi.
Sezione VI
Esempi di primitivismo infantile in Italia negli anni Venti e Trenta del Novecento
La semplificazione formale che va verso un miniaturismo di tipo infantile, talvolta caratterizzato da una potente rielaborazione volumetrica, compare nel primo dopoguerra in alcuni artisti come Riccardo Francalancia, Fillide Levasti, Renato Birolli e Ottone Rosai. L’esposizione si conclude con esempi di ritratti e paesaggi dalle atmosfere incantate, affiancando a questi e altri pittori l’esempio del milanese Cesare Breveglieri, che rappresenta una delle più feconde resistenze del primitivismo infantile nell’arte, prontamente segnalato da Carrà, alla metà degli anni Trenta, sul giornale “L’Ambrosiano”.
Un percorso interessante dunque e anche molto piacevole, che, partendo dalla fine dell’Ottocento, percorre i primi decenni del XX secolo, mostrando opere di artisti affascinati dall’universo infantile, di cui prendono in varie forme e stili l’essenza: la semplicità, la poesia, la soavità dei colori e dei soggetti rappresentati.