“Questa è soprattutto un’occasione preziosa per poter vedere il grande sviluppo e la maturazione dell’arte del secondo dopoguerra che solo recentemente si sta celebrando internazionalmente e che da quella avanguardie d’inizio secolo ha avuto origine”, sono le parole di Luca Massimo Barbero curatore de “La grande arte dei Guggenheim, da Kandinsky a Pollok” che si apre al pubblico sabato 19 marzo a Palazzo Strozzi, un evento unico e irripetibile che porta a Firenze oltre un centinaio di opere realizzate tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento europeo e statunitense frutto del collezionismo di due grandi figure di mecenati di tutti i tempi, Solomon R. Guggenheim e Peggy Guggenheim.
Nata dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi e la Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York la mostra si snoda attraverso le grandi figure nella storia dell’arte del XX secolo, partendo da Kandinsky, Duchamp, Max Ernst, l’arte del dopoguerra con gli informali Burri, Vedova, Dubuffet, Fontana, per arrivare a Pollock presente con ben 18 opere, Rothko, Calder, fino a de Kooning, Motherwell, Lichtenstein, Cy Twombly. Per alcuni di questi dipinti, in tutto 26 opere si tratta di un “ritorno a Firenze”, ma questa volta ai piani nobili di Palazzo Strozzi. E’ qui infatti che dopo la mostra alla Biennale di Venezia, il 24 febbraio del 1949 che Peggy Guggenheim esporrà la sua collezione, alla Strozzina, inaugurando in questo modo un nuovo spazio fiorentino dedicato all’arte contemporanea e questo per merito di Ludovico Ragghianti che riuscì a strappare l’evento ad altre importanti sedi in lizza, per l’occasione venne stampato un bel catalogo che diventò un punto di riferimento per tutti i cataloghi in italiano, la storica dell’arte Ludovica Sebregondi ne ha ricostruito la storia attraverso documenti e immagini fotografiche di Foto Locchi.
A Palazzo Strozzi la conferenza stampa di presentazione della mostra che gode di un pregevole allestimento e di un accurato catalogo scientifico edito da Marsilio e con importanti interventi a cura di Tracey Bashkoff, Susan Davidson, Philip Rylands, Luca Massimo Barbero e Ludovica Sebregondi e che è stata promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim con il sostegno del comune di Firenze, Camera di Commercio di Firenze, Associazione Partners Palazzo Strozzi, Regione Toscana con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Dopo i saluti del padrone di casa Arturo Galansino,
“Quando il comune partecipa a questi eventi la gratitudine per il lavoro svolto è tanta – ha detto il vicesindaco Cristina Giachi – la mostra permette di raggiungere pubblici diversi e le mostre connotano e danno rilievo alla città. Questa ci riempie di gioia e di aspettative per le possibilità che offre di comunicarla anche sotto il punto di vista dell’educational, per la qualità delle opere, in grado anche di attrarre la fantasia dei più piccoli. La mostra tocca un arco temporale importante, tratti di storia che hanno costruito quello che oggi è la nostra cultura, una mostra che ci darà la possibilità di fare autocoscienza”.
Per Elena Chianea in rappresentanza di Monica Barni per la Regione Toscana “ Oggi si celebra Palazzo Strozzi quale crocevia contemporaneo, Firenze e la Toscana sono luoghi internazionali e le proposte devono sapere tenere il passo anche sul versante della contemporaneità nella cultura”. Claudio Bianchi vicepresidente della camera di Commercio di Firenze ha detto “Siamo vicini a Palazzo Strozzi per quello che fa sul nostro territorio e iniziative come questa vanno sostenute in particolare oggi che rappresenta un simbolo per il turismo di qualità”. “Sono particolarmente felice di essere qui – ha detto Pierluigi Rossi Ferrini presidente della Cassa di Risparmio di Firenze – in questa New York fiorentina la mostra di Palazzo Strozzi è un momento importante, nel tessuto dell’arte rinascimentale arriva l’arte contemporanea, il bello dell’estetica è la caratteristica di evocare emozioni e sensazioni. Questa mostra rende regione a Ragghianti, del resto non poteva fare di più, l’Italia costretta all’autarchia culturale durante la guerra che l’aveva isolata. Questa nostra è nel nostro desiderio comune di andare avanti nelle avanguardie e nel sensibilizzare il pubblico all’arte moderna perché Firenze non rimanga prigioniera del passato ma accetti con entusiasmo le fantasie e le sfide del futuro”. “ Siamo a Firenze, nella città che nel Rinascimento ha visto fiorire il mecenatismo e un grande collezionismo – ha detto Cristina Acidini consigliere di indirizzo per gli eventi espositivi a Palazzo Strozzi – dove singole figure come Cosimo I, sono riuscite a determinare la forma della città, indirizzare e dettare i canoni del gusto. Tutto questo si è poi riversato in personaggi come i Guggenheim che hanno indicato al Novecento cosa doveva essere apprezzato, forgiando il gusto del Novecento. Firenze li ha accolti con diffidenza forse perché aveva in mente ancora i canoni di quattro secoli e mezzo prima. Ma ormai con l’arte moderna siamo in presenza di un fenomeno storicizzato e questo mette in moto una serie di riflessioni su chi sono i mecenati che ci aiutano a decifrare l’arte contemporanea, è la nostra occasione per decifrare il presente e progettare il futuro”.
Infine Philip Rylands direttore della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha avuto parole di elogio per la squadra e tutta l’organizzazione e in particolare per il lavoro svolto da Luca Massimo Barbero che è curatore associato alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, oltre a tracciare per sommi capi la storia dei due grandi collezionisti americani attraverso l’arco cronologico della mostra che va dal 1916 e il 1968. Anello di congiunzione tra i due protagonisti e punto di inizio del percorso espositivo la grande tela di Kandisnsky “Curva dominante” del 1936 , venduta da Peggy durante la guerra e per questo “una delle sette tragedie della sua vita di collezionista”, altri capolavori in mostra come “Il bacio” di Max Ernst del 1927, “Lo studio per scimpanzé” di Francis Bacon eccezionalmente uscito dalla sua sede di Venezia e che Peggy teneva appeso in camera da letto, l’opera è collocata all’interno di una saletta che ne riproduce l’ambientazione delle case di Londra e di New York con le opere del primo marito Laurence Vail e le scatole di Joseph Cornell, disegni di Tancredi e Cocteau alle pareti, la sala numero sei è dedicata alla pittura Color-Field e alla Post Painterly Abastraction e ai mobiles di Calder, lo sfondo nero della sala sette accoglie i Rothko di cui Peggy per prima ne intuì la grandezza mentre la grande tela, contestazione alla guerra in Vietnam in chiave pop di Roy Lichtenstein “Preparativi” del 1968, chiude idealmente l’avventura collezionistica della famiglia Guggenheim.