È Bice Lazzari la protagonista dell’esposizione curata da Paola Ugolini e Sergio Risaliti e realizzata in collaborazione con Archivio Bice Lazzari, che vede esposta, negli spazi del primo piano del Museo Novecento, una ricca selezione di oltre settanta lavori scelti tra dipinti e disegni, oggetti di design e una serie di poesie dell’artista veneziana. Un’antologica che ripercorre le tappe principali della ricerca di questa interprete solitaria ma centrale dell’arte italiana del secolo scorso, dalle opere più figurative, passando per l’informale, fino alla completa astrazione delle forme e a un vocabolario fatto di punti e linee.
Figura introversa e isolata, Bice Lazzari (1900 – 1981) nasce a Venezia in una famiglia borghese di commercianti e imprenditori edili, seconda di tre sorelle (Ninni, la più giovane, sposerà l’architetto Carlo Scarpa). La sua formazione si svolge a Venezia, prima al Conservatorio Benedetto Marcello e poi all’Accademia di Belle Arti. I suoi esordi artistici sono simili a quelli di molti giovani artisti veneziani agli inizi degli anni ’20 e si attestano su una pittura en plein air caratterizzata da paesaggi immersi in un’atmosfera lagunare sfaldata dalla luce, tanto cara agli impressionisti francesi, o contraddistinti da una composizione più solida, quasi geometrica, che strizza l’occhio alle ricerche realizzate vent’anni prima da Cézanne.
A partire dalla seconda metà degli anni Venti Bice Lazzari inizia a lavorare anche al telaio, producendo manufatti di arte applicata di vario tipo, dalle stoffe alle sciarpe, alle borse, ai tappeti annodati a mano. In questo campo, ricco di innovazione e più aperto alle sperimentazioni stilistiche rispetto a quello, più accademico, della pittura ,collabora con i maggiori architetti e decoratori veneziani dell’epoca, interpretando gli orientamenti e gli sviluppi non figurativi delle arti decorative moderne. Fino all’inizio degli anni Trenta la sua ricerca si caratterizza quindi per un dualismo tra figurazione e astrazione, la prima sperimentata in pittura e la seconda legata alle opere di arti applicate.
In questo lasso di tempo, lega la sua ricerca a quella delle avanguardie internazionali dell’astrazione come, Kandinsky e Klee, e al lavoro in Italia animato da artisti della Galleria il Milione come Melotti, Rho e Radice, tra gli altri. Tra la fine degli anni Cinquanta e il 1963 prosegue la sua indagine pittorica avvicinandosi all’Informale, quando abbandona i colori a olio in favore dell’utilizzo di colle, sabbie, tempere e più tardi acrilici. Dai primi anni Sessanta, si allontana dalla matericità di queste sperimentazioni per iniziare a definire quella che per lei diventerà una vera e propria “poetica del segno”. Le opere di questi anni sono raffinati intrecci di segni elementari che certamente risentono della lezione di Mirò o, ancor di più, di Klee, e, pur nella loro scarna essenzialità, rappresentano forse la fase più interessante della sua produzione pittorica .
“Ho scelto il segno – spiega l’artista – perché con più chiarezza posso fare un discorso che ne risulti leggibile con facilità. Il segno perché sul suo tracciarsi ha una tensione vitale in rapporto ad altri segni che nel loro insieme risulteranno significanti, e che concluderanno un processo interiore […]”.
Negli ultimi anni, tra il 1970 e il 1971, Bice Lazzari abbandona la pittura a olio e comincia a lavorare con la tecnica dell’acrilico, più fluida e brillante “l’acrilico, materia ingrata ma forte, robusta, resistente, me la feci amica dopo sudate prove e conoscendola, piano piano, ottenni superfici che potevano avere ancora una vibrazione di luce alla quale io non potevo rinunciare […]”.
Sono di questo ultimo decennio le opere astratte più compiutamente riuscite di una ricerca che parte dalla metà degli anni ’20. Questi lavori della maturità sono perfetti equilibri formali in cui il segno scandisce ritmicamente il campo della tela imprigionando l’occhio dello spettatore nella perfetta relazione fra spazio, tempo e misura.
“È come un pezzo di ghiaccio al cui interno brucia una fiamma, scriveva Kandinsky nel 1925 alludendo alla propria pittura, realizzata con gli elementi fondanti della figurazione – punto, linea e superficie – e mai definizione fu più adatta per descrivere l’ultima fase della ricerca pittorica di Bice Lazzari, quella della tarda maturità e dell’astrattismo, inteso come riduzione della forma alla sua scarna essenza ritmica di linee e punti, che l’artista intraprende dalla metà degli anni ’60 alla fine dei ’70”, spiega la curatrice della mostra Paola Ugolini.
La mostra è stata possibile grazie al contributo di Azimut Capital Management, Archea Associati e LMCR / Studio Legale Associato. La mostra resterà aperta al pubblico fino al 13 febbraio.