“Non canterò una sola stagione./ Dalla giovinezza/si estesero col pianto/gli anni ardui del vivere. / Cantai il dolore e il piacere./ Non fui mai voce/ d’uomo e donna/ ma di umana creatura./ Lo splendore notturno del canto/ che dal profondo dolore nasce / ogni anno, ogni ora, ogni momento, /è per tutte le creature/ che seppero vedere/ la luce dell’amore.”
Pubblicata da Vallecchi nel 2009 è una delle liriche di Sergio Scatizzi che fanno parte della raccolta “Acque di Liriope” . All’età di novanta anni e poco prima di morire, il 1° dicembre dello stesso anno, il grande maestro indimenticato delle “terre volterrane”, delle “marine”, delle “nature”, ci ha voluto lasciare la sua testimonianza di poeta d’amore, dal tratto originale e che si muove tra gli accadimenti del faticoso vivere, nel ricordo di una persona amata e nella bellezza fugace di una rosa che sboccia al mattino o in quell’azzurro che tutto veste e colora.
Come osservava Pier Francesco Listri nell’introduzione …” Ma la forte scansione musicale di Scatizzi, tanto pittore che poeta è sempre tutta trattenuta, accennata e sospesa, in una castità di eloquio che si giova dell’alta vocazione novecentesca del frammento. Poesia preziosa, questa di Scatizzi, perché sono rari i poeti che riescono a ottenere tanto adoprando così pochi e semplici strumenti espressivi, con fraseggi e parole del parlare quotidiano”.
“Quale desiderio/ se l’anima mia/ è celeste ancora?/ A chi restituirla?/ Mai, o madre,/ mi facesti una domanda/ ed io compresi./ Soave donna, / nata per cantare/ con gli dei del Parnaso./ Oggi, la mia anima,/ ti restituisco/.