In difesa della donna nel nome di Artemisia Gentileschi

Giuditta, l’eroina ebrea che incarna la virtù ed è in grado di riscattare il suo popolo dall’assedio di Oloferne, un tema ricorrente nell’arte, dal Rinascimento in poi,  lunga la lista degli artisti che si sono cimentati nella sua rappresentazione, da Botticelli a Caravaggio per arrivare in tempi a noi più recenti, Gustav  Klimt e Cindy Sherman. Tra i grandi capolavori, il bronzo di Donatello, opera della maturità realizzata tra il 1457 e il 1464 che prima di arrivare nella Sala dei Gigli a Palazzo Vecchio nel 1495, dopo la cacciata dei Medici,  fu collocata sull’arengario a simboleggiare la libertà repubblicana, sul versante pittorico la “Giuditta che decapita Oloferne” dipinta da  Artemisia Gentileschi nel 1620 su commissione del Granduca Cosimo II ed oggi conservata agli Uffizi.

E’ in occasione della “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” che domani le due opere saranno visibili in contemporanea e  in dialogo ideale nella Sala dei Gigli a Palazzo Vecchio grazie alla collaborazione con la Galleria degli Uffizi e in occasione di un convegno internazionale sul femminicidio. “ Due opere eseguite a distanza di tempo, in due epoche culturali lontane – ha detto il Sindaco Dario Nardella – per due committenti medicei, e da due artefici di sesso diverso. Ma il soggetto è lo stesso, ancora una volta un’eroina, un esempio di virtù e coraggio, che si ribella al tiranno. E’ dal confronto tra la Giuditta in bronzo e il dipinto, tra Donatello e Artemisia, che nasce la riflessione e che l’opera artistica diventa messaggio di civiltà. Le grandi opere d’arte e le grandi personalità artistiche del passato hanno questa forza, di comunicare oltre la loro epoca, di essere protagoniste del dibattito contemporaneo. Non v’è dubbio che la vita di Artemisia, e il contenuto delle sue opere, sia tra tutte esemplare”. Pittrice femminista ante-litteram come a ragione la definisce il critico Sergio Risaliti, la figura e la produzione  di Artemisia Gentileschi fanno  da spartiacque in un mondo che non lascia spazio alle donne. “ Farò vedere a Vostra Signoria Illustrissima quello che sa fare una donna” saranno le parole con cui Artemisia si rivolgerà al suo mecenate, Don Antonio Ruffo, e una volta libera dai legami familiari con il padre Orazio sarà in grado di sfidare i maggiori artisti del suo tempo aggiudicandosi importanti commissioni, fino a usare il suo mezzo, la pittura, per vendicarsi della violenza carnale subita in gioventù da parte del pittore fiorentino Agostino Tassi.

E’ per questo che il suo dipinto, che per tre giorni, da domani fino a 27, sarà esposto a Palazzo Vecchio, va oltre la rappresentazione biblica e tra tutte le raffigurazioni proposte dagli artisti attraverso i secoli è quello più drammatico, dove la tensione è altissima, fino all’estremo punto in cui, il sangue che schizza copioso dal collo di Oloferne arriva a segnare il seno immacolato di Artemisia- Giuditta. “ Si sporca le mani di sangue, si sporca di pittura – scrive Sergio Risaliti nel suo saggio Artemisia e GiudittaAd Artemisia non interessano i contenuti tradizionali, quelli che avevano decretato il successo iconografico della storia di Giuditta: la storia della vergine coraggiosa e generosa, eroina della virtù e della libertà cittadina. Non interessa il tema della castità da esibire come dote femminile. Artemisia perpetua il suo rito punitivo dipingendo un quadro che per la prima volta non è solo riproduzione, ma dispositivo performativo  e sciamanico ( come lo saranno solo pochi altri quadri, ad esempio Guernica, un autoritratto di Van Gogh) . E per la goccia di sangue che colpisce la carne femminile storicamente interpretata, anche  da Roberto Longhi, solo dal punto di vista di formale, “… Una goccia di sangue – prosegue Risaliti – che nella donna e in Artemisia è impronta indelebile di vita come di morte, di godimento come di dolore, di sopruso e di sacrificio. Esperienze di cui appunto è più opportuno siano le donne a parlare, esprimendosi, dicendosi, come ha fatto nella sua epoca Artemisia Gentileschi.”

 

 

 

 

 

 

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