Il racconto inedito di Roberto Casamonti sull’Alluvione di Firenze

Fiorentino, Roberto Casamonti oggi è uno dei più importanti galleristi al mondo, con la sua famiglia cinquanta anni fa ha vissuto il dramma dell’alluvione. Siamo andati a trovarlo nella sua galleria in Lungarno Benvenuto Cellini e per la prima volta ha deciso di ricordare quei momenti drammatici vissuti la mattina del 4 novembre.

“Mi sono trovato l’altro giorno a Palazzo Vecchio per la mostra di Isgrò e Kiefer e ho potuto ammirare e vedere le immagini girate nell’alluvione da Fantacci,  mi hanno dato un colpo al cuore, mi hanno risvegliato dei pensieri e i miei ricordi perché sono immagini che ho vissuto. Io  avevo ventisei  anni, chi ne aveva undici, molti non avevano mai visto un’ alluvione, ormai sono passati 50 anni e ho provato veramente una grande emozione. Mi sono commosso perché sono stati momenti in cui Firenze ha mostrato tutta la sua vitalità, il senso dell’abnegazione, del lavoro, l’attaccamento alla propria città. Nella mostra di Isgrò e di Kiefer ci sono i libri, dei libri aperti e invito tutti ad andare a vedere questa mostra perché è veramente bella come lavori artistici, bella soprattutto per questo lavoro che Fantacci ha fatto.

Mi ha fatto ricordare dei momenti che avevo un po’ rimosso, all’epoca avevo ventisei anni ed ero un ottimo nuotatore, sub da dieci , quindi non avevo paura dell’acqua, tanto è vero che, quando ho visto la mostra, come in un flash back ,mi sono tornati alla mente episodi che mi hanno visto protagonista, così come è stato per molti fiorentini.

Quando la mattina ci alzammo alle 7,30 e già c’erano 10 cm di acqua per le strade, la prima cosa fu di andare dai miei genitori che avevano un villino in Via Erbosa e li trovai che stavano portando i quadri al piano di sopra e per un’oretta circa anche io li aiutai, poi ci rendemmo conto che l’acqua saliva, fino a che arrivò a 70/80 cm. e allora mio padre si impressionò e disse Andiamo via tutti, andiamo via!. Al che io presi per mano mia madre e li portai nel Viale Europa dove avevo precedentemente portato la macchina e li portai fuori dall’acqua, dall’alluvione. Li condussi da uno zio che stava a San Marcellino dove l’acqua dell’Arno non era arrivata e mi misi in marcia per ritornare a casa mia dove c’erano mia moglie e i miei due figli.

Mi ricordo che passai proprio da Viale Giannotti ma con il trascorrere del tempo l’acqua saliva, non avevo paura, mi sentivo abbastanza sicuro come nuotatore, ma l’acqua saliva e io montavo sui tetti delle macchine, ne facevo un pezzettino e di nuovo sui tetti delle auto, nuotavo, ero nell’acqua.  Quando arrivai all’altezza del cinema Marconi girai a destra perché la mia casa era a duecento metri, volevo ritornare a casa mia da mia moglie e dai miei figli, eravamo al primo piano, sennonché, macchina dopo macchina, scavalca scavalca, quando arrivai sull’angolo di via Datini, mentre  in Via Traversari l’acqua era calma, mi ritrovai invece nel mezzo di un fiume in piena, la corrente dell’Arno andava verso valle.

Mi ricordo che a un certo punto nell’acqua c’era un palo del divieto di sosta di cui vedevo solo il segnale tondo, presuppongo quindi che l’acqua fosse arrivata a un’altezza di due metri, a quel punto dovevo riguadagnare nuotando controcorrente.

Lì vicino c’era un negozio di macelleria con il bandone a maglia e sopra le persone alle finestre che mi avevano visto, mi ero aggrappato a questo cartello, mi sono sganciato, pensando che nuotando sarei arrivato a fare questi pochi metri, l’angolo del palazzo era di marmo e non c’erano appigli però tre metri più in là c’era questo negozio di macelleria.

Io nuotavo, ma mi ricordo che nuotando nonostante gli sforzi, facevo un metro avanti e novanta centimetri indietro, quindi per fare questi sei, sette metri, questa la distanza all’incirca del marciapiede, sembrava che l’acqua mi portasse via, invece ci riuscii, ero giovane, forte e quindi mi aggrappai al bandone e mi tirarono un lenzuolo mi portarono in casa dove dei signori mi rifocillarono e poi mi misi a guardare di fronte, perché sull’altro lato della strada c’era la mia abitazione.

Sono stato fino alle 13,30 da mezzogiorno, l’acqua era salita e venne il primo gommone dei pompieri, allora io chiesi di portarmi dall’altra parte, mi presero e mi fecero attraversare, i miei figli mi abbracciarono, tutti i condomini che avevano assistito alla scena mi salutarono come se fossi stato un eroe, ma ero solo una persona che si era salvata, che aveva avuto una brutta avventura.

L’acqua continuava a salire e arrivò a un’altezza di tre metri all’incirca, il tempo era molto brutto, brumoso, scuro, e a un certo momento si cominciò a dire Ma come facciamo stasera, la luce non c’è.

Rimontai sul mezzo dei pompieri, mi feci riportare sul viale Europa dove avevo la macchina fuori dall’acqua e andai su per le campagne fino a che mi indicarono e all’Antella trovai una pizzicheria aperta. Feci un rifornimento, una quindicina di filoni di pane, candele, prosciutto, naturalmente pensavo anche agli altri oltre alla mia famiglia e mi riportarono a casa. Montai sul gommone per portare questi beni alla mia famiglia che mi aspettava e alle altre famiglie del palazzo dove abitavo.”

Un altro momento che è rimasto impresso nella memoria è quando, qualche giorno dopo Roberto Casamonti che all’epoca lavorava con il padre, si recherà insieme a lui nel negozio di Via Pietrapiana, dove l’acqua aveva raggiunto quasi cinque metri di altezza. Qui troveranno le loro merci completamente alluvionate e coperte dal fango , la forza dell’acqua aveva fatto salire quasi al soffitto tutti gli articoli, impregnati di acqua e fango. Non si persero d’animo, anzi furono i primi a Firenze a riaprire la loro attività, in meno di una cinquantina di giorni e il 20 dicembre il negozio fu nuovamente aperto, le merci lavate e recuperate, tendaggi, tappeti con qualche piccola macchiolina, furono acquistate da chi, come loro, aveva desiderio di voltare pagina di tornare alla vita di sempre. Fu questo il miracolo di Firenze reso possibile grazie alla forza e alla tenacia di tanti imprenditori e cittadini decisi a lasciarsi alle spalle la sciagura e a trovare la forza per ricominciare da capo e ancora meglio. Di quel giorno rimane una foto in bianco e nero, forse dimenticata in un angolo della casa e oggi magicamente riemersa con il suo carico di ricordi, dopo cinquanta anni. Ma di quel giorno è anche la scoperta di una pagina dove Ruyard Kipling scrive “ Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te la perdono e te ne fanno una colpa. Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano tenendo però considerazione anche del loro dubbio. Se saprai aspettare  senza stancarti di aspettare, o essendo calunniato, non rispondere con calunnia, o essendo odiato, non dare spazio all’odio, senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio. (…)   Se potrai vedere in un attimo distrutta l’intera opera di tutta la tua vita e senza dire una parola, ricominciare a costruire, allora sì, sarai un uomo, figlio mio!”  che come mantra accompagnerà nella vita e nella professione uno dei più grandi galleristi che non ha mai pensato, neanche per un attimo di lasciare la sua Firenze.

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