“Carissimi tutti, Già battezzato dal fuoco, punta paura, sempre allego pieno di salute/Vi bacio/tutti//Ottone// Spero che leggerete i giornali e sentirete le nostre fortune, non dubitate perché se parlano di vittorie è tutto vero./Ottone”. Scriveva così in una lettera, sino ad oggi inedita, nel 1915, il granatiere Ottone Rosai, aiutante di Battaglia e che per i meriti militari sarà insignito di una medaglia in bronzo e di una d’argento. Questa lettera insieme ad altri documenti inediti, cartoline, disegni, fanno parte della pubblicazione “Rosai combattente” In occasione del centenario della Grande Guerra a cura di Luigi Cavallo, con la quale la Galleria Panati di Firenze ha voluto rendere omaggio alla figura di Ottone Rosai, pittore, scrittore e valoroso soldato. “Verso mezzanotte raggiungo alle Giubbe Rosse, il caffè degli artisti in quei tempi a Firenze, gli amici Soffici, Papini, Palazzeschi, Tavolato, Binazzi, Agnoletti, Bellini Tommei, coi quali non si parla più d’arte, ma di questa in aderenza alla realtà che sta per sorgere: la guerra”. Così descriverà, più tardi, nel 1934, nel libro “Dentro la guerra”, pubblicato a Roma con l’aiuto di Giuseppe Ungaretti, l’enfasi e la sua dedizione per la guerra, marinettiana “igiene del mondo”, che sarà totale. Nel registro del distretto militare di Firenze, Ottone Rosai, nato il 28 aprile del 1895, è la matricola n. 5962, figlio di Giuseppe e di Deboletti Daria, è alto un metro e ottantacinque, il torace misura m. 0, 86, capelli e occhi castani, colorito bruno, dentatura sana, di professione è pittore e sa leggere. Si arruola il 9 dicembre del 1914, il 22 gennaio del 1915 è nel 1° Reggimento Granatieri e il 20 giugno viene ferito. Il 10 ottobre del 1917 sarà promosso aiutante di Battaglia, Comandante di Plotone si offriva volontario per il taglio di reticolati nella prima linea nemica e sotto il fuoco, pur rimanendo colpito da una scheggia, portava a termine la sua missione, occupando la trincea nemica e faceva prigionieri trentadue soldati con quattro ufficiali. Smessi i panni del dell’ “Apache” o del “Fantomas”, coltello tra i denti e cappello abbassato, del notturno “teppista” fiorentino, di appena qualche anno prima, è questo un Rosai ardito, coraggioso e generoso verso la Patria, senza riserve, che ha appreso la lezione di Lacerba e la traduce in azione. “Le lettere di Rosai dal fronte – scrive Luigi Cavallo- soprattutto quelle scritte al padre e ai familiari, danno visione ancora più ravvicinata del suo temperamento, il desiderio di farsi onore, di sopportare qualunque sacrificio perché il suo nome avesse uno smalto d’eroismo e fosse magari d’esempio a che combatteva con lui e a chi lo apprezzava da lontano. E non erano atteggiamenti letterari, enfatici, esibizioni per avere qualche riconoscimento materiale, tutto era provato nella trincea, negli assalti, nel sangue” e infine “ Per tutta la vita, del resto, Rosai fu un combattente, sconfitto più volte dalla povertà, dalla politica, dai finti amici, ma in sostanza vincitore in quell’unica contesa che per lui contava: la pittura.” Foto: Ottone Rosai in divisa( 1915) Foto Pietro Rossi Firenze