Sala affollata allo Spazio A, in Lungarno Cellini a Firenze, in occasione della conferenza tenuta dalla storica dell’arte Mirella Branca e dedicata a “Il sistema comunicativo della Stazione Santa Maria Novella : modernità e tradizione nella Firenze degli anni Trenta” che prosegue il ciclo “Contaminazioni” sullo stimolo nato dall’osservazione di una “Firenze bipolare”, a cura di Riccardo Bruscagli. Oltre ad essere un capolavoro dell’architettura razionalista, la Stazione ferroviaria di Santa Maria Novella nei suoi primi anni di vita era anche un grande contenitore di arte, arredi e soluzioni di moderno design, studiati e realizzati sotto la supervisione degli architetti del Gruppo Toscano e che ancora oggi rappresentano un fronte di grande libertà ed innovazione. L’analisi delle opere d’arte inizia dall’esterno, dalla fontana della Palazzina Reale che ospita la “L’Arno e la sua valle” di Italo Griselli, le due figure che richiamano l’arte etrusca a loro il compito di dare il benvenuto alla carrozza che avrebbe percorso il cortile a ellisse fino all’entrata nel vestibolo.
E’ qui che gli scultori, Mannucci e Moschi, useranno il bassorilievo per rappresentare i fasti canonici dell’arte fiorentina, l’uno nella rappresentazione della costruzione della cupola, l’altro in un opera che trae ispirazione da un dipinto di Casa Buonarroti. “ Ancora non siamo arrivati alle regole fisse dell’architettura di regime – dice Mirella Branca – e ci si può ancora esprimere in maniera più libera”. I primi anni Trenta sono un periodo molto fervido per Firenze, nasce l’azienda turistica per il soggiorno, l’autostrada Firenze-Mare, il Maggio Musicale, Firenze è una città crocevia di interessi e mostra la sua anima classica. Rosai che viene chiamato per realizzare i pannelli del Ristoratore sintetizza la solennità del paesaggio toscano, ordinato dall’uomo, in primo piano la casa colonica, al centro della speculazione degli architetti che qui vi ritrovano gli elementi fondanti dell’architettura razionale. “La Toscana, il suo paesaggio doveva presentarsi al viaggiatore – dice Mirella Branca – come in Case a Villamagna di Rosai e nei lavori di Romoli. La pittura murale di quel periodo non doveva bucare il muro, sfondare con la prospettiva, ma favorire un dialogo tra tradizione e modernità”. Nonostante l’avversione degli intellettuali del periodo al mezzo fotografico, Gamberini si reca a Roma dove sceglierà delle foto da inserire nel fregio, c’è un taglio critico, punti di vista in diagonale, modernissime.
Al binario 16 il giardino con le palme eleganti, uno spazio verde all’interno dello spazio architettonico. Ma uno degli elementi caratterizzanti è dato dalle forme della luce, la cascata di vetro che permette l’intrusione della luce e il suo rapporto con l’architettura. E’ una fase di grande sperimentazione tra architetti e industria che darà vita al vetro Termolux, con due strati di lana di vetro bianca e una gialla ottenendo in questo modo una luce calda, Carlo Scarpa poi condurrà uno studio sul nastro di vetro cordonato, nella palazzina reale ci sono ancora i lampadari da lui disegnati, oggetti architettonici che si sposano felicemente con l’intera struttura. Sono le luci a determinare il senso dei percorsi attraverso le scritte luminose, il tubo luminoso è stato inventato da poco e di notte quando tutto è acceso la resa è quella di un effetto magico. Un salto di qualità per gli orologi della stazione, attenzione ai movimenti aereodinamici e l’orologio a settori disegnato da Nello Baroni.
E’ un Novecento aperto che darà luogo a soluzioni innovative come la fontanella, la cassetta per l’impostazione in galleria di testa, il sedile e il portabagagli al binario, disegnato da Mazzoni. Arriviamo poi agli anni ’50, siamo alle soglie del boom economico, le fotografie del fregio sono le mete turistiche alla moda così come i manifesti d’autore nel salone della biglietteria, il sistema è perfetto e funzionale. Quasi un miracolo fa si che si avveri il senso del luogo. “ E’ una cosa nuova – dice infine Mirella Branca – a ridosso della Chiesa di S. Maria Novella e ci sta benissimo, è fiorentina ed è internazionale, ha saputo interpretare la misura della città che è contenuta, un’architettura di luce e metallo, un’immagine fantastica come diceva il servizio dell’Istituto Luce quando venne inaugurata”. Un’opera d’arte, un’emozione quotidiana, sotto gli occhi di tutti, ma sono in molti a chiedersi come i bambini la vedono oggi.