E’ stato il pittore più “iperrealista” del suo tempo, il Seicento, apprezzato dai Medici grandi collezionisti e dalla nobiltà europea, celebre per i ritratti e per i dipinti a soggetto religioso, per le pose estatiche, gli incarnati di porcellana e la resa straordinaria dei dettagli, tessuti e gioielli che, come sottolinea il biografo degli artisti seicenteschi Filippo Baldinucci erano “imitati in modo stupendo ( e vero), che, per molto che si toccasse e si ritoccasse la tela per assicurarsi che essi fosser dipinti l’occhio ne rimaneva in dubbio”. E’ grazie a Mina Gregori, alla quale è dedicato il catalogo, se gli studi hanno preso questa direzione, proponendone una mostra a Cristina Acidini e che oggi ha portato all’apertura della prima mostra antologica dedicata a Carlo Dolci, protagonista indiscusso della pittura del Seicento; mostra che anticipa i quattrocento anni dalla nascita che saranno celebrati il prossimi anno. Sesto appuntamento per la rassegna Un anno ad arte, “ Carlo Dolci, Firenze 1616-1687” apre i battenti alla Galleria Palatina, fino al 15 novembre, in tutto novantatre opere, tra dipinti, disegni e opere appartenenti ad artisti della sua cerchia, di cui diciotto facenti parte delle trenta opere conservate nella Galleria Palatina, perché è qui nello scrigno di Palazzo Pitti che è conservato il numero più alto delle sue opere in una collezione, quella medicea. Altre opere in mostra provengono dai più importanti musei internazionali, come la meravigliosa tela raffigurante “Salomè con la testa del Battista” del 1670 della Royal Collection di Windsor che è stata scelta quale immagine di copertina per il prezioso catalogo scientifico. Stamattina la conferenza stampa di presentazione alla presenza di Matteo Ceriana direttore della Galleria Palatina, i curatori della mostra Sandro Bellesi e Anna Bisceglia, Angelo Tartuferi in rappresentanza del segretario regionale dei beni culturali Paola Grifoni. “ Non si poteva scegliere un luogo migliore – ha detto Matteo Ceriana – per la prima mostra moderna e forse in assoluto, di Carlo Dolci, perché Palazzo Pitti contiene il numero più grande di opere e perché i Medici erano appassionati collezionisti e hanno raccolto le opere migliori. Una sorta di dovere. L’idea è di proseguire la politica di mostre che siano a completamento dell’esposizione museale. Mostre intelligenti, più o meno grandi che siano un complemento forte per la comprensione della collezione e che aiutano il pubblico a conoscerla meglio. Una strada da continuare in futuro, attraverso scambi con altri musei”. Il poderoso catalogo, edito da Sillabe, oltre a contenere le immagini delle opere in mostra con le relative schede, raggruppa numerosi saggi che approfondiscono la conoscenza di questo straordinario pittore, attraverso molteplici aspetti, non ultimo quello biografico. “ Il catalogo è uno strumento di soddisfazione per gli specialisti ma anche un viatico per il pubblico che si vuole avvicinare all’artista. La figura di Dolci viene analizzata da ogni angolazione, anche biografica, che mancava, la ricostruzione di un contesto, l’artista e il suo tempo, elementi cruciali nella storia dell’arte fiorentina e italiana. Importante è stato beneficiare di prestiti esteri, soprattutto inglesi, mentre un numero ampio di opere, trentatré infatti sono state sottoposte a restauro o a revisione conservativa”. Come accade in questi casi, l’opera restaurata e l’indagine che è possibile fare su di essa apre nuove occasioni di conoscenza, ad ottobre è in programma una giornata di studi per approfondire le tecniche pittoriche dell’artista, sulla base di recenti indagini tecniche condotte dall’Opificio delle Pietre Dure in particolare sul “Sogno di San Giovannino” e sul disegno ““David e la testa di Golia”, proveniente da Brera. Pare infatti che Carlino, come si faceva chiamare, usasse una tecnica particolare con l’oro in polvere per ottenere sulle aureole un effetto sfumato e leggerissimo, ancora misterioso è il modo in cui riuscisse a ottenere questo risultato sorprendente.