Era presente anche Stefano Londi, il ragazzo nella foto dell’alluvione, scattata il 4 novembre del 1966 a Firenze da Balthazar Korab, riconosciuto dai figli grazie a FB dopo l’appello lanciato dai curatori, alla mostra che alcuni giorni fa è stata aperta alla Tethys Gallery in Via dei Vellutini dedicata al grande fotografo ungherese, dal titolo “Balthazar Korab I giorni dell’alluvione”.
“Ho il canotto bucato” era l’urlo che lanciava alla madre affacciata alla finestra della pensione Derby in Via Nazionale, all’angolo con Via Guelfa, il canotto avrebbe dovuto servire per andare in piazza di indipendenza dove era parcheggiata l’auto del padre, proprio in quel momento lo scatto del fotografo, scoperto per caso e molti anni dopo. Una delle tante storie, per fortuna a lieto fine, di cui furono protagonisti gli abitanti di Firenze sorpresi dalla furia dell’acqua che invase la città rendendola un lago di quaranta chilometri di superficie con una profondità che in alcuni casi raggiunse i cinque metri di altezza.
Una grande tragedia che oggi a distanza di cinquanta anni viene revocata attraverso sedici scatti di uno dei più grandi fotografi al mondo Balthazar Korab che in quei giorni si trovava con la famiglia a Settignano. Appresa la notizia non perse tempo, presa la sua Hasselblad medio formato e cinque rullini scese a Firenze e immerso nell’acqua e nel fango per un giorno intero fermò sulla pellicola le immagini del disastro che di lì a poco avrebbero fatto il giro del mondo attraverso l’Associated Press e Life. La sua attività proseguì nei giorni seguenti, documentando i danni subiti dagli edifici, dalle opere d’arte, e gli sforzi compiuti dagli angeli del fango, i volontari che arrivarono da tutto il mondo per mettere in salvo il patrimonio di musei e biblioteche colpite dall’alluvione.
La mostra curata da John Comazzi Christian Korab,Guido Cozzi e Massimo Borchi, in collaborazione con l’Università del Minnesota, ci offre una selezione di immagini scattate il 4 novembre e nei mesi successivi, ci sono le strade del centro invase dall’acqua con le auto sospese a mezz’aria e il fango che le ha rese irriconoscibili, i libri della Biblioteca Nazionale stesi ad asciugare e la mano di coloro che si è dedicato con amore al loro recupero, le statue della Gipsoteca distese nelle sale dell’Accademia di Belle Arti, corpi spezzati in attesa di essere ricomposti, con uno sguardo attento alle architetture che naturalmente non può mancare e che le rende autentici capolavori. A rendere ancora più realistico l’allestimento, l’indicazione di dove arrivò l’acqua all’interno della galleria il 4 novembre 1966 e fuori, nelle altre strade del centro storico.